Da parolibero, articolo di Daniele Trovato

02.05.2013 13:50

Regolamento di conti, suicidio, psicodramma, notte dei lunghi coltelli, harakiri, implosione: fate voi, di certo l’elezione del Presidente della Repubblica ha segnato il punto più basso della parabola del PD in termini di coesione politica. Improvvisamente il partito, non era più tale. Di interpretazioni giornalistiche e dichiarazioni imbarazzate degli eletti, verso gli elettori, o inferocite, contro i traditori, se ne sono lette e ascoltate fino alla nausea. La bomba però è esplosa troppo forte e sotto le macerie resta soprattutto la base, che dopo la mancata vittoria alle elezioni deve subire anche l’inspiegabile frantumazione parlamentare che ha preceduto la rielezione in extremis di Napolitano.

Decido di incontrare, separatamente, i giovani quadri e dirigenti del PD che gravitano intorno a una delle sezioni storiche dei DS, al primo Municipio. Oggi la sezione è adiacente a quella di SEL, separate nel 2008 dal Muro di Fassino, come lo ha chiamato qualcuno rievocando le divisioni della Guerra Fredda. Incontro per primo Piero, 37 anni, la generazione dei Renzi e dei Civati per intenderci, per otto anni consigliere municipale, arriva nel PD dalla Margherita e oggi è nell’esecutivo regionale, ci diamo appuntamento al bar sulla piazza. Bersani non aveva trovato la sintesi, quando ha perso le elezioni si è delegittimato e non ha tenuto più il partito, spiega Piero. Questo lo so, gli rispondo, il punto è chi sono i 101 che hanno affossato Prodi? E’ stata una fronda compatta ma trasversale, non vengono da lontano, sono quelli che per sessanta giorni hanno spinto per cercare l’accordo a destra e che Bersani non ha ascoltato per non rompere con Vendola. Nessun grande vecchio, nessuna regia precisa: hanno silurato Bersani più che Prodi. Prodi aveva il difetto di rappresentare la fine di qualunque orizzonte che comportasse un accordo col PdL. Se le cose stanno così, gli domando, allora con l’esecutivo Letta, un governo politico fatto insieme al PdL, hanno vinto i 101 frondisti, quelli che tutti chiamano traditori? Certo, dice Piero. Letta non ha una vera corrente, non è legato a nessun territorio ha sempre voluto tenere un profilo alto. Tu puoi stare con lui, ma lui non sta con te. E’ molto un uomo degli equilibri e poco del partito. Adesso il suo governo può durare tanto, almeno due anni. Quando si parla di come ricompattare il partito Piero guarda all’organizzazione più che ai nomi, ma di certo Renzi gli piace, lo ha anche appoggiato. Bisogna vedere se il partito è in grado di fargli spazio, per trasformare questo potenziale in energia positiva e non in inquinamento interno. Piero finisce la sigaretta e torna ad impegnarsi nella campagna per Ignazio Marino, dove tra le altre cose dovrà spiegare agli elettori perché a livello nazionale hanno rotto con SEL, mentre sul sindaco sono più uniti che mai.

Claudio invece è della generazione di Enrico Letta, la sua storia comincia coi giovani della DC, poi ai Popolari, alla Margherita e infine al PD, oggi è assessore municipale, barba ispida e fisico da ex-rugbista. Secondo lui, la settimana scorsa c’è stato un errore di valutazione della dirigenza, bisognava portare avanti Zanda o un’altra candidatura di bandiera per le prime tre votazioni e poi convergere su Prodi quando si era sicuri che i voti ci fossero. Una volta si eleggevano così i presidenti, era la prassi parlamentare della Prima Repubblica. Rodotà ha pagato il non aver voluto prendere a suo tempo la tessera del PD, Marini invece sarebbe stato il vero inciucio. Anche a Claudio faccio la stessa domanda, chi sono i 101 e perché non sono usciti fuori? Gli unici che parlano apertamente nel PD sono Renzi e Civati, i 101 invece sono prevalentemente il frutto di vecchi asti contro Prodi, veltroniani e soprattutto mariniani, più qualcuno che ce l’ha con Bersani per non essere andato al voto un anno fa. D’Alema? No, aveva meno motivi e poi ormai non controlla più di trenta o quaranta parlamentari. Nessun grande vecchio, nemmeno qui. Per il futuro Renzi è in stand-by, Barca è già a cavallo tra il PD e qualcosa d’altro, a sinistra. L’uomo che può ricompattare il partito secondo Claudio è proprio Enrico Letta: il governo durerà tanto e se nei primi diciotto mesi porta a casa qualche punto del programma e la legge elettorale poi sarà libero di fare il bello e il cattivo tempo, dentro e fuori dal PD.

L’ultimo incontro è di nuovo in un bar, stavolta sotto gli uffici del comitato elettorale per Ignazio Marino. Emiliano sembra il più deluso di tutti, si è buttato anima e corpo nella campagna elettorale anche un po’ per isolarsi dalle beghe interne. Entrato nel PdS a diciotto anni oggi ne ha 36, percepisce la sua come una storia di sinistra, anche nel partito. Secondo Emiliano il PD dopo il 2008 non è mai uscito dalla fase di costruzione, si sono consumati anni di faide interne e alla fine è semplicemente esploso. Il personalismo non ha aiutato, i contenuti ci sarebbero ma restano sullo sfondo, dietro le facce dei candidati e il rito delle primarie, importante ma non sufficiente. Bersani è un uomo capace e perbene, ma in questo caso è stato superficiale: la candidatura di Prodi è arrivata senza votare, per acclamazione, e chi c’era ha raccontato che non tutti acclamavano, nelle seconde file il clima era diverso, quel metodo a molti non è andato giù. Tra i frondisti, al di là delle dichiarazioni ufficiali, ci sono alcuni renziani e qualche dalemiano superstite. Ripeto la domanda che mi frulla in testa dalla conversazione con Piero: col governo Letta hanno vinto i 101 traditori? Io sono convinto di sì, risponde sicuro. Tutti dicono che il governo durerà tanto, ma io non sono convinto, dopo il congresso a giugno cambieranno gli equilibri, forse Letta dura due anni ma non cinque. Per ricompattare il PD Renzi poteva servire, anche se non mi piace dopo le elezioni sarei stato disposto ad appoggiarlo, poi le sue ultime esternazioni mi hanno fatto cambiare idea. Probabilmente il futuro leader del PD sarà lui ma io, lo dico con dolore, non so se farò parte di quel partito, continua Emiliano. Iniziative come Occupy PD vanno bene, questo non è più il momento dei tatticismi è il momento del cuore e della passione, l’importante è impegnarsi, tutti. Ci salutiamo e lui torna al comitato elettorale, convinto che Marino pagherà il caos nel partito ma meno di quanto lo avrebbero pagato altri al suo posto. Forse ha ragione, lo sapremo a fine Maggio.

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di Daniele Trovato