Tredicesima puntata: 21 dicembre 2012

Il dispetto dei Maya (12° baktun e due figure: vince Sgrunt)

Minchù oggi è felice: i suoi genitori le hanno dato il permesso di passare qualche ora della sera fuori, nel grande spiazzo antistante la loro nuova casa fatta di mattoni di argilla, con un grande tetto di paglia rinforzato da radici di albero di ceiba.

Suo padre è altrettanto felice ed orgoglioso della propria opera che consentirà alla famiglia di vivere più confortevolmente, al riparo dalle piogge e dagli animali: anche per questo ha concesso a Minchù di portare con sé la cesta che tiene accanto al proprio giaciglio e nella quale ripone i suoi oggetti più cari.

D’altronde Minchù non è più una bambina e lei stessa se ne è accorta osservando i cambiamenti del suo corpo ed anche del suo umore che la porta, talvolta, a bisticciare con sua madre.

Fin da piccola ha mostrato un’intelligenza acuta e per questo suo padre, anche se non ricco, ha ottenuto che lei potesse studiare, con altri ragazzi della sua età, presso il sacerdote del villaggio: ne hanno parlato a lungo e lei quindi sa bene che dall’inizio del grande computo sono passati 4 baktun, 6 katun, 17 tun, 12 uinal e 18 kin.

Quello che non saprà mai è che mentre si accinge ad onorare la serata speciale vestendosi con la tunica preparata dalla mamma e calzando i sandali di cuoio abbelliti con degli intarsi eseguiti da suo padre, mancano 1.400 anni alla nascita dell’uomo che cambierà la storia dell’umanità e che morirà sulla croce.

Minchù ha imparato ad incidere su un grande pezzo di corteccia dei segni particolari con i quali scandisce il passare del tempo e quindi della sua vita: è il suo diario segreto che conserva gelosa nella cesta e nel quale annota scrupolosamente anche il passare delle albe e dei tramonti.

Ha suddiviso la sua tavola di corteccia in due parti: su una ha stabilito di incidere un segno per ogni uinal che passa e ciò accade quando tutte le unghie delle dita dei suoi piedi e delle sue mani sono pitturate.

Questo comporta per lei un primitivo e divertente maquillage al quale si sottopone ogni volta che osserva il nascere del sole, dietro il tetto di paglia della sua casa.

Nell’altra parte del suo speciale diario ha deciso di raccontare le sue emozioni, attraverso l’abile incisione di figure e segni, di cui a volte colora i contorni usando una poltiglia fatta di piume di uccello triturate e mescolate a fango argilloso e sabbia ferrosa del grande mare.

Quella parte di impasto che assomiglia al cielo prima del tramonto in una giornata senza pioggia, ha pensato di utilizzarla per colorare i segni rappresentativi di periodi in cui si è sentita felice.

L’amalgama più scura, che ottiene aggiungendo in misura maggiore la sabbia ferrosa che raccoglie a pochi passi dalla sua casa, le servirà invece per sottolineare gli stati di sconforto o di ribellione verso sua madre che, comunque, cerca ogni volta di raffigurare amorevolmente evidenziandone i lunghi capelli color argento.

Minchù ha calcolato il passare di 16 tun dalla sua nascita ed è appagata dalla vita che, seppure le dia poco di materiale, è uno spettacolo straordinario che vuole godere appieno.

Non sa di essere una teenagers e che fra più di tremila anni le ragazze come lei avranno l’iPod touch e guarderanno le stelle, la notte di San Lorenzo, intorno ad un falò acceso sulla spiaggia.

Ma questa è la sera giusta, c’è luna nuova ed il cielo è sgombro di nuvole.

Stesa sull’erba i suoi occhi scrutano lentamente il cielo: Minchù sa che in quel preciso punto, dopo il tramonto,  Venere è lì ad attenderla, luminosissimo.

Eccitata piega il capo e, piano piano, chiudendo alternativamente un occhio e l’altro, traguarda con un pezzettino di legno piegato ad occhiello l’intera sfera celeste, soffermandosi sulle costellazioni che ha imparato a riconoscere, ognuna per la diversa disposizione di tutti quei puntini luminosi, ai quali lei ha dato un nome tutto personale e con i quali intrattiene un intimo rapporto telepatico.

Non sapremo mai se i sogni di Minchù si sono realizzati, da millenni probabilmente lei è proprio uno di quei puntini luminosissimi e forse, da un mondo fantastico, sta studiando i movimenti della nostra terra, traguardandola col suo pezzettino di legno.

E chissà poi se Minchù sa di essere appartenuta ad un favoloso popolo che è riuscito ad arrivare ai giorni nostri con un  monito apocalittico, che sa tanto di invito a cambiare rotta per evitare l’autoestinzione.

Per capire cosa accadrà al termine del ciclo di 13 baktun e quindi alla fine del calendario Maya che segna l’inizio di una nuova era, dovremo attendere solo poche ore, ma indizi inequivocabili su cosa è già accaduto ci giungono dalla seguente iscrizione, riportata in un testo reperito nel sito di el Tortuguero in Mexico e tradotta in: “SGRUNT”.

L’iscrizione è posta alla sommità di un geroglifico contorniato da figure maschili di ceppo certamente mesoamericano.

Una figura in particolare ha destato l’attenzione degli studiosi: si tratta di un uomo dai lunghi capelli e dal naso pronunciato, in perizoma e mantella a strisce bianconere, posto accanto ad una sfera, in procinto di scagliare su di essa una poderosa pedata.

La figura successiva mostra il medesimo soggetto con le braccia alzate e, sullo sfondo, la sfera disegnata appena sotto all’incrocio di due steli poste ad angolo retto, accanto alle quali si erge una seconda figura visibilmente scossa dall’evento.

L’iscrizione è chiusa dalla parola tradotta in “PIRL_” e qui diviene illeggibile il resto: per taluni si tratterebbe della parola “PIRLA” e questo darebbe un senso logico anche ad un’altra iscrizione, ritrovata nel medesimo sito, che – rievocando sempre la chiusura del ciclo dei 13 baktun – riporta la storia di una misteriosa “ridiscesa in campo”, qui suffragata dall’ornamento di una figura maschile, stavolta pelata, circondata da giovani fanciulle.

Interessantissimo è poi il ritrovamento di una tavola riportante una sequenza di vita vissuta, presumibilmente rappresentativa di un giorno di festa, che peraltro testimonierebbe anche dell’importanza che avevano gli animali per il popolo Maya.

Nella “striscia” appare un uomo sottomesso ad un grande cane e qui l’iscrizione, purtroppo giunta a noi incompleta, riporta: “MIR__LLA>!>EG_DIO !

Nella figura di centro appare un sacerdote sciamano, seduto, che innalza verso il cielo la tavola che tiene tra le mani. L’iscrizione qui è completa (”THE PREZ >!> FCM”), ma gli studiosi non sono ancora risusciti a decifrarne la portata.

Nell’ultima sequenza il cane e l’uomo ad esso soggiogato sono sottomessi, a loro volta, alla figura vincente che, imperiosa, solleva una coppa rivolgendosi verso una grande sfera con al centro un’altra sfera di dimensioni leggermente più piccole.

Qui gli studiosi si sono divisi perché taluni (in minoranza) hanno letto in tali sfere concentriche un richiamo al sole ed agli astri.

Più probabile, però, che si tratti di altro, come farebbe pensare l’iscrizione che chiude la sequenza, fortunatamente non del tutto deperita e tradotta in: “BUCIO D_ CU_O”.

Consegnato il trofeo Roma al solito noto, non possiamo non rilevare il dispetto che il popolo Maya infligge alla nostra Lega, anteponendo (solo di poche ore) una non proprio frequentissima inversione dei poli magnetici, che dovrebbe causare cataclismi di ogni sorta, alla nostra ultima giornata di apertura.

Dobbiamo dire che i Maya avevano una mira infallibile: iniziano a scandire il computo lungo del tempo dal 3114 a.c. e, più di cinquemila anni dopo, ci tolgono la soddisfazione di capire se in zona retrocessione ci finirà AEB oppure Real Martina.

E tutto questo solo dopo aver fatto in modo che si certificasse l’ennesima vittoria del team sgruntiano !

Per tornare alle scoperte di el Tortuguero, la grande quantità e univocità di materiale ritrovato fa pensare che il sito fosse dedicato alla rappresentazione dei vari ceti sociali dell’epoca, posti in ordine di importanza su una sorta di piramide adagiata e sviluppata in orizzontale, da sinistra a destra.

Nella parte sinistra della tavola, ossia alla base della piramide, si scorgono i nomi (purtroppo per la maggior parte deperiti) di sedici schiavi ed in corrispondenza di ogni coppia di nomi alcune incisioni sembrerebbero certificare la dominanza di uno dei due sull’altro.

Uno degli esempi più leggibili giunto a noi è quello che gli studiosi hanno isolato nella parte più bassa, a sinistra della base piramidale e così tradotto: “MASCALZ__E L_T_NO > GIA_DU_O_TO”, seguite dalla incisione di un cerchio accanto al primo nome e di cinque barrette verticali accanto al secondo nome, queste ultime seguite dalla raffigurazione di un cane.

Quest’ultima circostanza è stata posta in relazione con l’altra iscrizione, quella a “striscia” di cui si è già parlato, che richiama la scritta “EG_DIO”, il che farebbe pensare ad una stretta correlazione se non addirittura ad un Triduo Sacro sintetizzato nel geroglifico: “EG_DIO < CANE < GIA_DU_O_TO “.

La tavola riveste inoltre una importanza fondamentale perché testimonia anche delle opportunità di cui poteva godere uno schiavo, il quale aveva la possibilità di risalire nella scala sociale, peraltro in maniera direttamente proporzionale alla quantità di barrette incise accanto al suo nome.

E’ proprio il caso che gli studiosi hanno chiamato “dello schiavo GIA_DU_O_TO” che, infatti, figura anche in una iscrizione posta molto più a destra della tavola, in una posizione che è stata individuata come quella appartenente ai sacerdoti astronomi.

In questa parte della tavola ritorna infatti GIA_DU_O_TO oramai non più schiavo ed, anzi, raffigurato in una scena vittoriosa su “SGRUNT” (tre barrette a due).

Tuttavia le incisioni ancora più a destra raccontano come quella dell’uomo soggiogato dal cane sia stata una vittoria temporanea ed effimera, visto che all’apice della piramide appare ancora l’incisione tradotta in  “SGRUNT”, seguita dalla nota epigrafe, già commentata, decifrata in “BUCIO D_ CU_O”.

Altri indizi specifici porterebbero a concludere che la divinità posta alla sommità della piramide adagiata, sia richiamata spesso nel materiale ritrovato a el Tortuguero perché questo luogo sarebbe dedicato ad una sua imponente vittoria.

Ne sono testimonianza i tratti riportati nel basamento di una colonna, presumibilmente parte della porta di accesso alla antica città, che sono stati decifrati e tradotti in “TR_F_O _OMA”.

Il frammento di basamento è oggi custodito nel museo del Prado a Madrid insieme alla tavola, ritrovata sempre a el Tortuguero, nella quale è profetizzata la nascita, prima della fine del ciclo, di un Dio raffigurato con una sfera tra i piedi (ed identificato nell’iscrizione come “LIO_EL MESSI[A]”.

Ma, come si è detto, altri posti magicamente testimoniano del passaggio dell’antica civiltà Maya su questa terra: un altro caso è quello del sito di Palenque, nello stato del Chiapas, in Mexico.

Si ritiene che questo sito sia dedicato al “Dio del corner”, raffigurato in un frammento di pietra rinvenuto in Italia (a Catanzaro), nella cui sequenza si vede un uomo baffuto accanto ad una sfera e ad una bandierina.

Nella immagine successiva la sfera è riprodotta all’incrocio di due steli poste ad angolo retto ed anche qui, come per il reperto di el Tortuguero, una seconda figura accanto alle steli esprime tutta la sua delusione allargando le braccia.

In questo reperto, però, la sequenza è più completa in quanto la seconda figura, oltre che delusione, esprime rabbia nei confronti di una terza che, posta accanto alla stele verticale, si copre con le mani le parti basse, mostrando a sua volta sconforto per non essere riuscita ad intercettare il movimento della sfera.

Il lavoro degli studiosi, che hanno cercato di capire l’origine dei ritrovamenti di Palenque, è passato tramite l’attenta interpretazione del voluminoso materiale reperito, ma soprattutto delle famose “nove tavole” riportate nella parete rocciosa a ridosso del sito stesso.

Le tavole sono precedute da quello che gli studiosi ritengono un vero e proprio ammonimento agli uomini del futuro, vòlto ad evitare che questi possano avocare a se stessi il merito di importanti scoperte.

La traduzione di questo prologo alle tavole è “FANTA_MAYA”.

Ma vediamo brevemente le nove tavole:

La prima tavola raffigura due animali in lotta: un bue ed un cane, con il secondo che domina il primo avendo dalla sua due barrette contro l’unica del suo avversario. Una terza figura - questa volta umana e che già abbiamo visto tradotta in “EG_DIO” - è defilata dalla scena e sembra portare delle borracce.

Nella seconda tavola appaiono due cerchi concentrici (già presenti in altri reperti tradotti in “BUCIO D_ CU_O”) il cui influsso ammansisce un altro animale, riconosciuto come un gattopardo americano.

Nella terza tavola un sacerdote sciamano (probabilmente “THE PREZ”, quello già visto a el Tortuguero) impone le leggi su Titano e con questo porta dalla sua parte le benevoli influenze del pianeta Saturno.

Nella quarta tavola torna, probabilmente, uno dei protagonisti della piramide adagiata di el Tortuguero, tradotto infatti in “MASCALZ__E L_T_NO”: anche in questo reperto il soggetto si mostra perdente e stavolta contro una singolare ed indecifrabile figura di uomo, riprodotta al centro di tre punti ben distinti e riconoscibili come “1 X 2“.

Molto singolare è la quinta tavola che richiamerebbe profeticamente, addirittura, la successiva civiltà romana: è riprodotta infatti una figura molto simile all’antico Anfiteatro Flavio e l’incisione annessa è tradotta proprio in “Coliseum”.

La sequenza si conclude però con la distruzione dell’imponente costruzione sulla quale si abbattono quattro potenti lance.

La sesta tavola riporta alle conoscenze astronomiche dei Maya: quella che era una luminosissima cometa appare spegnere il suo sfavillante vigore allontanandosi all’orizzonte.

La settimana tavola, invece, testimonia della competenza dei Maya anche in campo medico. E’ raffigurato, infatti, un sacerdote chinato nell’atto di compiere il rito dell’anestetico su un malato: cinque soffioni fuoriescono dal deretano del sacerdote e nell’immagine successiva la seconda figura presente nell’incisione dorme tranquilla.

L’ottava tavola, anche se la scienza ufficiale non conferma, incredibilmente testimonierebbe di una qualche conoscenza dei Maya in campo pre-automobilistico. E’ inciso un rettangolino con due antenne attaccate a fili sospesi, che sembra muoversi lungo la direttrice segnata da due rette parallele.

Nel caso del frammento di Palenque questo rettangolino in movimento travolge una palombella rossa.

La nona tavola testimonia della fine di una bella casa di mattoni di argilla, con tetto di paglia, portata via dal grande mare.

Racconta anche della fine di una famiglia spazzata via per sempre dai propri sogni e dalla propria vita felice ma fragile.

Ma per Minchù non è un problema: da lassù, dal suo luminosissimo punticino fra le costellazioni, con il suo pezzettino di legno, osserva ogni sera il nostro mondo.

Ed è felice di non dover vivere su questa terra la fine del 13° baktun.

Stiamo arrivando, Minchù.

BAGABLOB