Ottava puntata: 9 novembre 2012

Barack Jamil (e agli altri restano solo le primarie)

Sono passati quasi quattro secoli da quando i primi venti neri sbarcarono nella Virginia diventando i pionieri di un’epoca che segnerà la storia di intere generazioni, fatta di schiavitù e lotte per la conquista della libertà.

Chi l’avrebbe mai detto.

Il grande popolo americano rinnova la fiducia al primo presidente nero, un afroamericano alla Casa Bianca che dà di nuovo il ben servito ad un candidato repubblicano, stavolta ancora più bianco che più bianco non si può.

Non può sfuggire l’estremo biancore di Romney e della sua verbosa ed irreprensibile moglie, ma anche stavolta il colore è sbagliato – è lo stesso di McCain – e quindi lor signori sono pregati di accomodarsi fuori per i prossimi quattro anni.

Dall’Italia assistiamo al grande spettacolo dell’election day come rapiti, catapultati in una disneyland perenne di cui riusciamo a capire a malapena i contorni luccicanti, con lo stesso incanto con il quale un bambino nella sua culla si gode il tenero movimento della  casina delle api della Chicco.

Viviamo, allo stesso, tempo, lo stress e la frustrazione della consapevolezza di non poter replicare l’enfasi e la solennità di quell’evento: alle magistrali scenografie, montate su palchi enormi che richiamano incessantemente la vita, le opere e il fiero americanismo del candidato in mostra (vote for Obama, Romney for president), dobbiamo tristemente contrapporre le nostre scassatissime primarie bipartisan, condite dalle giornaliere beghe del pollaio nostrano, le cui vette più elevate sono rappresentate da dichiarazioni al fulmicotone dei vari contendenti.

L’Everest dei proclami di questo “elescion dei” de noantri si staglia imponente nelle parole di Renzi (”mia moglie è una persona normalissima, ma se le primarie andranno bene è evidente che anche per lei dovrà finire questo periodo di isolamento”) o anche in quelle di un Gasparri qualsiasi (”sì a un candidato gay alle primarie del Pdl. Ben venga, ma sono importanti anche i contenuti che proporrà'').

“Accipicchia” direbbe la contessa degustando il the delle cinque.

“Mecoioni” ribatte prosaicamente l’italiano medio che, al solo vedere i suddetti dichiaranti, sobbalza e mette mano alla fondina.

Ora, dovete sapere che in piena election night autorevole e auspicato è giunto il consiglio dell’amico Ulisse che ha ormai acquisito, a pieno titolo, le stesse fascinose ed eteree sembianze di Mina: non si vede, si sente in rare ma sontuose circostanze e per questi motivi è immortale.

Ebbene, omaggiato - anche spiritualmente - di cotanta consulenza Bagablob, mutuando dal Maestro l’estro del parallelismo con le cose di casa nostra, ha colto lo spunto sapientemente erogato ed ha sintetizzato il momento nell’assioma più essenziale che ci sia : Barack Jamil.

Assioma che, tuttavia, è pronunciato solo dopo una ossequiosa e riverente meditazione che ha permesso di valicare il limite di una rispettosa titubanza i cui termini erano riflessi in un altro postulato / inno: “un presidente, c’è solo un presidente……”.

E’ vero che c’è solo un presidente, ma la singolare congiuntura che ha unito idealmente i grandi elettori e gli stati chiave  alla nostra giornata di campionato, non può essere elusa.

Dunque, che il Prez ci perdoni, oggi osanniamo il nostro fantaObama e dichiariamo Jamil prediletto conducator, seppure ad interim.

Sventolano felici bandierine colorate al M.A. Gheddafi, orde di teenagers, perlopiù inconsapevoli, glorificano applaudendo il loro idolo, migliaia di uomini e donne con la speranza dipinta sul viso attendono che Egli si appalesi e parli ai bov-democratici tutti.

E l’attesa è ripagata.

Barack Jamil appare in tutto il suo splendore, elettrizzando la folla oramai stremata dalla veemente magniloquenza del momento: “i have a dream” dice, ed il mondo è suo.

Ed anche se il sogno del Bove, per il momento, non è esattamente quello di una intera nazione che anela ad una ripresa del biglietto verde, ma più empiricamente quello di restare in cima alla classifica della Lega Amara (magari non esattamente “four more years”), diremmo che tutto questo è oggi più che sufficiente per certificare pomposamente la leadership del Nostro.

Funge sommessamente solo da scrutatore il buon Michele: la sua Immortalis esce dalle urne con le ossa rotte.

Con Califano potremmo osare affermando: “tutto il resto è noia”.

Ma non sarebbe equo nei confronti di chi ha sfangato la pagnotta anche questa giornata, confermandosi o comunque ribadendo tenacemente le sue ambizioni.

Ed è senz’altro il caso dell’ex trio delle meraviglie che scende all’unisono dall’Air Force One per riparare verso utopie aviatorie maggiormente caserecce e più attinenti al suolo italico.

Il match al calor bianco che ha visto protagonisti Egidio e Matteo, anche se di altissimo profilo, non può paragonarsi all’apogeo rappresentato dai recenti fasti a stelle e strisce.

Per il ritratto di questo incontro ci si deve quindi rifugiare nel richiamo ad una più modesta consonanza che, lungi dal disturbare personaggi d’oltreoceano, non può far altro che evocare nunzi casalinghi e ben conosciuti: Bersani e Renzi.

La storia ci dirà chi sia il rottamatore tra i due fieri coach di Gianduiotto e Rapid Cometa.

Nel frattempo abbiamo assistito ad un pareggio che ha tarpato momentaneamente le ali ad entrambi, facendo spiccare il volo all’ intero entourage jamiliano.

Seguendo un metodo strettamente residuale nel panorama delle primarie a sinistra, a Giovanni spetta il compito di recitare la parte di Nichi Vendola e la logica regge, se si pensa che anche nel nostro fantamondo il team di Mascalzone Latino ambisce senz’altro a ricoprire la carica del “rompi uova nel paniere”.

Tutto ciò però nel giorno in cui il nostro Nichi cede clamorosamente in casa perdendo leggermente terreno dalla vetta.

Nonostante questo la delusione patita nella sua Fossa dei Leoni (con annessa perdita dell’egemonia in precedenza conquistata in condominio), rischia di non essere l’unica cosa di cui Giovanni deve preoccuparsi.

Infatti, fatta salva la metafora con il leader di Sel, un po’ di imbarazzo procura la recente dichiarazione di Eddy, il compagno di Vendola: "sarò sempre accanto a Nichi. Non mi nascondo più, chiamatemi first gentleman".

Non ci resta, quindi, che unirci idealmente ed esprimere tutta la nostra vicinanza alla gentile signora di Giovanni.

Bagablob deve avvertire che le prossime righe saranno condite dal più bieco maschilismo omofobo.

Purtuttavia l’esigenza di penna lo impone.

Ebbene, esiste un gioco della settimana enigmistica che si chiama “il bersaglio”: è quello in cui si parte da una parola e si deve arrivare ad un'altra, fino a fare “centro”, passando attraverso una serie di parole connesse semanticamente, per analogia e/o assonanza.

La sequenza che qui si vuole surrettiziamente seguire è la seguente: Giovanni / Nichi Vendola / Culo / Sgrunt.

Approdiamo quindi all’argomento principe di questi giorni, al centro di una raffica di perfide mail scatenate da buona parte dei soci del nostro fantaclub: il posteriore del buon Guido.

L’integerrimo boss dell’undici sgruntiano, in settimana, ha eroicamente profuso tutte le energie per cercare di convincere i suoi detrattori che lui non è strettamente imparentato con la buona sorte di cui, semmai,  è solo un buon conoscente.

Seppure questa non sia la sede più adeguata per dissertare in materia, è singolare notare come il profilo psicologico di chi si accinge ad incrociare medie e totalizzatori con Sgrunt, ricordi un po’ la  teoria della “mosca smemorata” che sbatte ripetutamente sul vetro perché non ricorda che l’ha già fatto.

Quella inafferrabile trasparenza che impedisce all’insetto di volare in libertà, è la stessa che separa l’antagonista di turno da una vittoria contro Sgrunt: l’infelice, irretito e disorientato, lascia la realtà per entrare in un mondo virtuale in cui tutto è lecito, anche pensare che Guido non sia fortunato.

Ma non c’è nulla da fare, la teoria è a prova di bomba e tutti, prima o poi, torneremo ad assaggiare dolorosamente la pregiata vetreria sgruntiana.

Oltre ai primi cinque in classifica dobbiamo doverosamente parlare anche degli altri, anche se qui il livello scende ed entrano a volte in scena, sempre a fil di metafora, figure politiche ignote ed ignorate dai più.

Partendo dal fondo si deve registrare la sconfortante situazione di Shingotamarri, desolatamente ultima a soli due punti.

Vincenzo non riesce ad imporre la sua faccia e un po’ in questo ricorda una new entry nel mondo del visibile: Laura Puppato, l’aspirante velina alle primarie del Pd che, nonostante alcune recenti apparizioni in tv, non è riuscita ad innalzare di un millimetro il suo grado di notorietà.

Sembra che il calcolo dello share di un recente programma che l’ha ospitata, sia stato gravemente disturbato dal singolare atteggiamento di milioni di famiglie campione che, nel vederla, simultaneamente hanno gridato nell’etere: “Puppato chi ????????”.

Ugualmente in crisi nera Phoenix che, a differenza di Shingotamarri (che recupera comunque un buon punto contro i tramvieri), nell’ultima apparizione cade Arca Stagnaccio.

La sconfitta è amarissima per come è maturata: il totalizzatore è una condanna per Alessandro che perde praticamente a causa di una ammonizione.

Per lui sesta sconfitta (onorevolissima) in campionato ed altra occasione per dimostrare a tutti i colleghi l’affabile compostezza con la quale patisce l’ennesimo stop.

La sobrietà nella sconfitta ci consegna un Alessandro formato Bruno Tabacci, con l’augurio che l’amico coach dei Phoenix non ripercorra le inquietudini politiche del noto ennesimo candidato al trono Pd (ex Dc, ex Udc, ex Rosa Bianca, ancora ex Udc, ex Gruppo Misto, oggi Api).

Non vorremmo, infatti, che Alessandro diventi un “ex Lega Amara” per confluire in altro fantaconsesso, magari con il seggio assicurato.    

Per il resto è la bagarre più assoluta.

In cinque punti sono stipate ben nove formazioni, tutte teoricamente idonee ad entrare nella lotta per i primissimi posti e, allo stesso tempo, passibili di sprofondare negli inferi della lotta retrocessione.

Qui le figure sono sfocate, le ombre dei nove fantallenatori  vagano indistinte nel limbo fosco e nebbioso di una classifica indefinibile, alla ricerca di affermazioni che finalmente accendano una luce sulle loro aspirazioni.

Il disordine che regna in questo substrato sfuggente ricorda stavolta le primarie del Pdl: nulla è assodato e quindi tutto è possibile, perfino che l’ex colf del Berlusca, Angelino Alfano, srotoli il tappeto rosso per un ritorno inebriante dell’uomo che nel 1994 si prese l’Italia a colpi di spot.

Chi sia Berlusconi tra i nove intruppati nessun lo sa.

Bagablob un paio di nomi li avrebbe, ma non intende svelarli. Anche perché li conoscono tutti.

God bless Lega Amara.

BAGABLOB